«Lo capisci che non ce la fa più?». Mi sforzo di mantenere un tono dolce, persuasivo.
«Ossignore, quante storie. Ce l’hai un po’ d’acqua, un pezzetto di pane, no?».
Certo, tanto lei piagnucola con me, con te non osa. Suo padre. Quello che bisogna sempre fare poche storie, e “che rottura i bimbetti!”
Sono ore che camminiamo. Si sta facendo buio, e non siamo affatto sicuri che questa sia la direzione giusta.
E se poi cala la notte e abbiamo sbagliato strada? Lo capisci o no che non siamo noi due soli? Hai una figlia, se non te ne fossi accorto. È piccola e ha bisogno di cure.
«Guarda là, lo vedi? Si intravedono luci. Ci siamo, è per di qua».
Non rispondo nulla, stringo la mano di Agata e mi odio per non parlare. Le sorrido affettuosa, ma dentro ringhio.
«E dai mamma, andiamo a casa, per favore! Lucio ci aspetta, chissà come piange…»
Lucio è il nostro gatto, in onore del grande Lucio Battisti.
«Ma no, stai tranquilla, gli abbiamo lasciato da mangiare per un esercito!» sussurro a labbra strette. Non mi devo incazzare. Mento. Non posso dirle “perché non lo dici a tuo padre?”, oppure “l’avevo detto che era troppo lontano”.
Ieri sera, sul divano, sembravamo una bella famigliola: io e Vittorio con la mappa spalancata sotto gli occhi, Agata accoccolata ai nostri piedi, Lucio che passeggiava tra le gambe. Dal divano sentivo le fusa.
«Sì dai, facciamo questo giro, è facile, non serve neanche portarsi dietro la mappa. Una cosa agile», ha fatto Vittorio mentre ripiegava il grosso foglio, preciso, lungo le piegature che ci sono già. Io non ci ho capito una mazza. Non ho mai saputo leggere le mappe, io. Quindi non decido mai nulla di queste cose.
Ora mi odio perché non parlo. Siamo in una macchia fitta e folta di sottobosco,. La macchia mediterranea, che ti intrica le caviglie. Sarà il quinto palo in cui, al bivio, lui dice «È per di qua, vedi? Ti ricordi quel ramo spezzato che sembra un fucile puntato? Siamo venuti di lì, sono sicurissimo».
Faccio un mezzo sorrisetto e annuisco. Perché annuisco? Non mi ricordo un cazzo, questa è la verità. Ma non lo dico. Ho sete ma non bevo: e se poi l’acqua finisse? Agata mi strattona la mano, vorrebbe piangere ma non lo fa. È già una donnina, anche lei. Mica di quei figli lamentosi, che non ci sono mai piaciuti.
Ora il sole è basso all’orizzonte, la luce rosata mi stringe la gola come una lisca che non va giù. È tutto uguale, uguale, uguale. Moriremo di freddo. Qui, stanotte. Canto una canzoncina così Agata si distrae.
Un altro bivio. Stavolta mi sembra di ricordare: a sinistra c’è un grosso tronco spezzato, sembra il portale di una chiesa e dentro c’è un grosso cisto in fiore. E se poi mi sbaglio?
«A destra», dice Vittorio. Lo seguo e trascino Agata senza dir nulla. L’esperto è lui. Nella pancia una fitta mi mozza il respiro. Ormai raggiungere la macchina prima che faccia buio è un sogno, entrambi lo sappiamo bene ma nessuno lo dice.
«Mamma, dove siamo? Ho fame, lo capisci?». La voce di Agata sta per rompersi. Le sorrido. «Facciamo il gioco dei supereroi che non si arrendono mai?»
Mi giro verso Vittorio. Non posso più mentire. «Ci siamo persi. Bisogna decidere che fare. È tardi».
Lui mi rivolge uno sguardo traverso, evitando di incrociare gli occhi speranzosi di Agata.
«Resta qui con lei», dice indicandola. «Arrivo fino lì per vedere cosa c’è oltre quel bivio».
Sono passati meno di cinque minuti quando lo sento. Appare preceduto da rami spezzati e frasche calpestate, ci pianta in faccia i suoi occhi gialli nel buio. Ha l’aria minacciosa. Chissà se è una femmina e l’abbiamo disturbata, se è la stagione degli amori. Faccio in tempo a tappare la bocca ad Agata prima che urli. Il sudore mi copre di colpo, lo sento colare lungo la schiena. Getto lo sguardo verso il punto dove Vittorio è scomparso, ora lo vedrò riapparire e… eccolo, lo vedo. Vorrei gridare ma non voglio spaventare l’animale, i miei occhi corrono tra noi e lui, hai visto? Ho la mano destra piena del moccio di Agata che singhiozza in silenzio. Mi chino su di lei per stringerla forte e quando rialzo gli occhi vedo Vittorio… sparire! Si nasconde dietro un grosso cespuglio. Col cuore nei calzini e Agata stretta al fianco sinistro, agito un ramo sibilando uno «Sciò» e spero. Finalmente il cinghiale distoglie lo sguardo e se ne va, come se non esistessimo.
«Eccomi amore, cercavo qualcosa per…». È Vittorio, corre verso di noi. Lo spingo dietro me e Agata, gli occhi fitti nel folto della macchia.
Non lo lascio finire e, finalmente, parlo.