Il Natale di Marnie

Gianfranca Quaraglia

Marnie disegna un cuore grande e rosso, si volta indietro per guardare il viso di sua madre, sprofondata nella poltrona a fissare uno sconosciuto orizzonte nel vuoto. 

Qui c’era l’albero di Natale, ma ora non lo vedo. Era molto alto e lo definirei scintillante pur se con garbo. Le luci erano disposte con gusto, i festoni si accordavano al colore delle campanelle dorate. Non mi è chiaro se ci fosse anche un puntale. 

Marnie ritaglia il cuore con cura, ancora si gira verso il volto di sua madre e corre ad appoggiarle il regalo sul petto. La donna abbassa lo sguardo ma non sembra notare il disegno, poi solleva gli occhi e riprende a fissare il misterioso punto lontano. 

Sotto l’albero erano disposti i dolci e i regali, ma le luci attiravano ogni attenzione. Penso che ci fosse il puntale, altissimo e sottile e, più di ogni altra luce, scintillava. Ho un fastidio qui, sul petto, come se ci fosse appuntata una spilla. Un lembo smorto di un cuore che non batte. 

Marnie torna al tavolo. Avvilita ma decisa osserva sua madre che con due dita accarezza il cuore di carta. Marnie accenna un sorriso ma si sta stancando, da troppo tempo disegna e ritaglia. 

A Natale la gente veniva a casa mia e si offriva un buffet di insalata russa, vitello tonnato e mousse di cioccolato. Niente di eccessivo. Il rinfresco, servito con classe, si chiudeva con il panettone.                                                                                                                      

Marnie si aspetta un ringraziamento, un gesto gentile, fosse solo uno sguardo ma il viso della madre resta vitreo. Solo le due dita, distratte, accarezzano il cuore di carta poggiato sul petto.

Poi è accaduto qualcosa, s’è aperta una crepa scomposta, una lacerazione improvvisa e dopo non c’è più stato niente che scintillasse.

Marnie non riesce a concentrarsi su cosa vorrebbe disegnare. È un’immagine vaga cui non sa dare contorni e volumi. Di nuovo, scruta quel volto e pensa che se cogliesse un segno potrebbe ricomporre quelle linee aggrovigliate, capire cosa voglia esattamente disegnare. Ma non accade nulla.

Mi hanno afferrato, questo lo ricordo, immobilizzata con malagrazia e una mano forte, pesante mi ha percosso la guancia. Ma lei era così dolce, delicata e gentile. Mi domando il perché, di cosa dovrei dolermi e al contempo stupirmi, cosa non andava fatto e ho invece compiuto con fredda e ignara determinazione

Marnie si accanisce sul disegno, si morde la lingua. Una goccia di sangue imperla il groviglio abbozzato. Afferra un batuffolo di ovatta per cancellare la macchia che invece si allarga sul foglio.

Posso dire che non avevo scelto la gioia ma era capitata da sé ed era violenta e intensa? Posso ammettere che somigliava alla tenerezza e al grigiore, mischiati in un viluppo confuso? Posso confessare, ora, che non sapevo maneggiarla? Questi pensieri mi inquietano e non riesco a ordinarli in un’idea piana, chiara, definita.

Marnie ora è una furia, digrigna i denti e preme il pennarello sul pezzo di carta. Il groviglio non si sbroglia, non si distende, non assume una forma piana, chiara e definita. Afferra il pezzetto di carta, si gira su sé stessa e svelta raggiunge sua madre, la donna con il cuore di carta appoggiato sul petto. Le sfrega sulla faccia il disegno incompiuto, l’immagine fallita, le spalanca con forza la bocca e le ficca il foglio appallottolato perché ingoi quel pasticcio e poi lo risputi risolto, schiarito, definito.

Si chiamava Marnie, quando è nata non sapevo come toccarla e baciarla. Sentivo di avere mani inadeguate nell’occuparmi di un corpo tanto morbido e piccolo. Cresceva e io ero sempre più sgraziata e alla fine c’era anche il Natale da fare e ogni anno mi sembrava che l’albero non scintillasse abbastanza. Forse volevo solo spegnere tutte le luci e ficcarmi in una bara senza tempo ma ho sbagliato conti e proporzioni. 

Mi chiamo Marnie e Natale è il giorno in cui il viso di mia madre si è aperto in una crepa scomposta, una lacerazione improvvisa. Ero io il disegno impazzito. Le sue dita di porcellana mi hanno agguantata per nascondermi nelle sue tasche.

Ma io, Marnie, ne sono sgusciata fuori.

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