Tartufo

Francesca Parri

Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io…

E magari, anzi sono sicuro, che vi interesserebbe vedere come sono fatto e come sono diventato con quell’infanzia che ho avuto che voi non ve la potete neanche sognare. O al limite vi accontentereste di dare un’occhiata a una mia foto. Invece io preferisco far fare all’immaginazione, perché è sicuro come la morte che di persona finirei col deludervi. 

Vedermi, ascoltare la mia voce o addirittura sentire il mio odore non farebbero che peggiorare la situazione. Preferisco rimanere al riparo da sguardi di rimprovero e compassione. È comprensibile, del resto, che chi ha avuto un’infanzia come l’ho avuta io, con dei genitori quantomeno discutibili, in genere non ami apparire. 

Anche la storia che vi voglio raccontare, insomma, che delusione, penserete voi quando l’avrete sentita tutta. L’unica cosa buona è che è una storia corta; nella mia vita a pensarci bene non è successo un granché, se non fosse per quel giorno che tutti noi ormai conosciamo a memoria. La storia in questione la state leggendo adesso, signori miei, mentre le parole fuggono veloci dalle mie dita e si conficcano nel foglio con la bic nera che lascia segnacci e sbaffi di mignolo da mancino; nero su bianco, proprio come uno scarafaggio sul risotto al tartufo di Alba. I miei genitori si trattavano bene, da sempre. Da quando sono nati. Da quando sono nato io, invece, sembra che abbiano cominciato a soffrire. Almeno così mi dicevano: maledetto il giorno in cui sei nato!  Ci hai rovinato la vita!  Ci hai rovinato il risotto! Sei lo scarafaggio nero! (A dire la verità le ultime due frasi non me le hanno mai dette, ma non ho dubbi che, in qualche modo, lo pensassero sul serio).

I miei genitori erano riso carnaroli e tartufo di Alba, complicità e vizi assecondati. Questo prima di me. Poi sono arrivato io ed è cambiato tutto. All’improvviso. Appena mi hanno visto. Sono sicuro che, arrivati a casa, avrebbero voluto eliminarmi. Ero brutto, cattivo e non c’entravo niente con loro, che erano belli, anzi bellissimi, perfetti. E poi piangevo troppo. Si vergognavano di me e mi lasciavano a casa per giorni interi, in compagnia di oscure e vecchie tate, che chissà da quale racconto dell’orrore erano uscite. Forse da “Biancaneve e i sette nani”. Me ne ricordo una che sembrava proprio la strega della mela avvelenata, con tanto di neo sul naso adunco, che provava a darmi cose orribili da mangiare e io le sputavo sotto il tavolo finché non se n’è accorta. Quanto si è arrabbiata! Quante me ne ha dette! Finché, un giorno, non è tornata più, perché, guarda un po’, le era venuto un infarto che per poco non ci è rimasta secca. E lei non è stata neanche la peggiore. I più schifi sono stati loro due, madre e padre, la coppietta al tartufo bianco di Alba, che mi odiava perché non ero in grado di essere messo in mostra tra i bambini belli. Che onta! Questo proprio non se l’aspettavano da un figlio. Anzi dal figlio, unico e brutto. E anche un po’ stupido, visto che a scuola andavo sempre male. Poi crescendo è andata anche peggio. Oltre a essere brutto e stupido sono diventato anche cattivo. La cattiveria come unica forma personale di resistenza, signori della corte.

A un certo punto la situazione è diventata chiarissima. O me o loro. È esploso tutto quando hanno scoperto che avevo raccolto un cane dalla strada. Lo tenevo nascosto in giardino ma poi quello – stupido come me – si è messo ad abbaiare e a saltellare ogni volta che ero nei paraggi, e un giorno lo hanno visto. Non è stato tanto il cane (forse avendo un giardino grande sarebbe potuto restare) quanto il fatto che Tartufo fosse davvero brutto, un orecchio tutto smangiucchiato, un bulbo oculare vuoto e una zampa storta, ricordi amari di investimenti e pestaggi tra simili. 

Questo animale deve andare via da qui, detto a bassa voce. Sembrava un ordine di routine, annoiato e indifferente al destino del cane e al destino del figlio. Al destino di tutti.

E mentre piangevo, credo per la prima volta, ho aspettato che venisse la notte, ho prelevato la benzina dalle loro macchine, l’ho messa tutta intorno alla loro stanza da letto e ho dato fuoco. Poi sono andato a cercare Tartufo, che da bravo cane sottomesso mi aspettava appena fuori dal cancello, pronto a leccarmi la mano. Insieme abbiamo atteso che tutto bruciasse. Ma Tartufo, subito dopo, è sparito nel buio.

Signori della corte, io dico che è stata legittima difesa. Non nei miei confronti, che non merito nulla, ma nei confronti del mio brutto bastardino che non meritava di essere cacciato. Ecco com’è andata questa storia schifa, di cui non importa niente a nessuno, se non a quel vecchio prete, giù in carcere, che mi osserva e che spera di salvarmi l’anima.

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