Aveva scritto proprio così. E avvertito la prima capriola nel petto. Era stato più facile del previsto.
Sorrise chiudendo l’applicazione dedicata alle richieste speciali. AI si diceva in grado di risolvere anche quel tipo di problema, e sembrava sincero. Non c’era motivo di sospettare. D’altra parte, teneva al benessere di tutti e non era certo colpa sua se le cose non andavano perfettamente. In fondo anche prima non era mica facile. Soprattutto per gente come lui, senza talenti. Senza nulla da offrire. Eppure, AI era riuscito a trovargli un impiego adatto nella grande piscina sottovetro, con l’unico compito di gironzolare sulla finta spiaggia vestito da bagnino. Pure se l’impianto era dotato di un sistema infallibile di salvataggio automatico. Ma era così soddisfacente per i ricchi clienti vederlo. Sembrava tutto molto più vero.
Celeste si preparò la cena. Il cuore non la smetteva di saltellare. Immaginò i caprioli d’estate correre, ubriachi di erba profumata. Era sempre stato molto solo. Una forma di lieve autismo, forse, bloccava i suoi rapporti sociali, ma finalmente si sentiva come chi si ritrova perdutamente innamorato e stenti a credere a quell’inaspettato imprevisto della vita.
Due giorni dopo un messaggio al suo ricettore lo informò che al ritorno la sera stessa avrebbe trovato qualcuno da amare ad aspettarlo sotto casa. Veniva da Venezia, quindi sarebbe rimasto a casa sua per qualche giorno. Ottima occasione per conoscersi bene, concludeva AI.
Celeste sentì il cuore scoppiare. Cercò di calmarsi. Non poteva morire prima di conoscere qualcuno da amare. Ma quando, dopo il lavoro, arrivò al portone dell’immenso condominio che conteneva i suoi pochi metri quadri, nessuna donna lo attendeva. Nell’atrio solo un uomo sulla cinquantina, alto, sottile, con una piccola valigia in mano. Celeste era smarrito. Pure l’uomo pareva spaventato. Si avvicinarono come in cerca di aiuto.
«Aspetta qualcuno?», chiese, incerto.
«Si mi ha mandato qui AI. Devo incontrare Celeste».
«Deve esserci stato un errore. Celeste sono io, ma avevo indicato chiaramente il mio orientamento sessuale»
«Sono desolato», l’uomo allargò le braccia. «È lo stesso anche per me. Ho frainteso il nome. Ma è preferibile non contraddire. Lei che dice?»
Celeste annuì, preoccupato.
«Forse è meglio che salga», concluse.
Scoprì che si chiamava Antonio. Era stato un sacerdote, un tempo, ma era stato prima che AI macinasse milioni di dati dimostrando incontrovertibilmente l’inesistenza di Dio. Dopo, aveva smesso di fare il prete.
Celeste si accorse che era facile conversare con Antonio. Lo invitò a fermarsi a cena. Parlarono a lungo della loro vita fin quasi alla alba. Celeste tornò al lavoro il giorno dopo, ma non disse ad Antonio di andar via. Così anche il giorno successivo e quello dopo ancora. Antonio rimase. Disse che nessuno lo aspettava.
Si abituarono a stare insieme. Impararono a prendersi cura uno dell’altro. Celeste scoprì di avere tante parole dentro. Come una emorragia, fuoriuscivano senza controllo, spandendosi fra i parati ingrigiti e le piastrelle sbeccate del suo monolocale. Era una gioia tornare dal lavoro e trovare Antonio con la cena preparata.
Una sera, dopo aver mangiato, Antonio chiese a Celeste di fare una cosa insieme. Lui annuì, sorpreso. Antonio chiuse ogni ricettore e tutti i visori nell’appartamento. Pure se era proibito. Poi accostò le persiane.
«Anche se AI ha dimostrato contro ogni ragionevole dubbio che tutto ciò non ha senso, io ne ho bisogno. Un bisogno immenso. Posso dire una messa. Per te?»
Celeste era incredulo ma annuì. Aveva imparato a volergli bene anche se nessuno accennava mai al fatto che AI li aveva scelti perché si amassero.
Antonio si mise al centro del lato più lungo del tavolo. «Se due di voi sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro», disse piano.
Spezzò del pane e lo immerse nel vino. Lo mangiarono insieme. In silenzio.
Si chiedevano entrambi se AI comprendesse il significato della parola comunione.