In un vocabolario, alla voce “trasloco”, la definizione dovrebbe essere: non importa quanto sarai attento e scrupoloso nell’inscatolare gli oggetti di casa. Qualcosa perderai sempre, è inevitabile. È la vita che va avanti.
Le padelle e i tegami di solito si tramandano di generazione in generazione per così tanto tempo da far pensare che siano uniti da una parentela stretta. Anche i centrini delle nonne hanno il magico potere di non smarrirsi mai. Al contrario si moltiplicano al trasloco successivo.
I giocattoli, invece, si perdono. È una regola. Svaniscono, spariscono, cambiano mondo. Capita per le macchinine della Gig Nikko e le Micromachines. Si spezzano anche i legami familiari dei Silvanian’s Family. I cinque fratelli leprotti da un giorno all’altro diventano orfani di mamma e papà. A volte sono lutti improvvisi, altre vere e proprie liberazioni di vecchi giocattoli da cui non ci si riusciva a separare.
Poi c’è la pista della Polistil, quella per le famiglie ricche che vogliono bene ai figli. Tutta ben impacchettata nella scatola di cartone e polistirolo sagomato. Un involucro sottovuoto a prova di urti e cadute di ogni tipo.
Le famiglie meno abbienti ripiegano sul trenino in plastica a trazione manuale, in modo da evitare inutili sprechi di energia elettrica. I binari a incastro di solito vengono infilati in semplici sacchetti Cuki Gelo annodati in cima o chiusi con il ferretto plastificato.
Il bambino aveva iniziato a montare la sua piccola ferrovia a forma di otto che ben presto era divenuta, come disse suo padre, a forma di infinito. Il treno attraversava stazioni meravigliose: da Toronto al Madagascar transitando per Sidney e Città del Messico. Si poteva viaggiare nel Sahara e fermarsi al Polo Nord, per poi visitare anche Giove e Plutone. Il trenino in plastica diventava un Galaxy 999 che viaggiava per l’universo.
Ma l’ultimo trasloco spezzò la catena.
Una curva. Un tratto di rotaia con le sue traversine perso per sempre. Giorni interi a cercare in soffitta fra gli scatoloni pieni di vestiti incellofanati e quadri di paesaggi rurali sotto coperte di lana pizzichina.
Il treno che correva lungo l’infinito ora si fermava. Arrivava a un dirupo e non proseguiva. Le certezze dei binari svanivano nelle paure del vuoto. Non marciava più spavaldo, si muoveva a scatti, incerto, temendo di deragliare dalle imposizioni della vita. Sarebbe stato facile sollevare la locomotiva ed esplorare nuovi mondi, volare come nessun altro treno avrebbe mai fatto. Ma staccarsi dai binari non è una cosa da bravo treno.
Un bravo treno segue le sue rotaie e si comporta come tutti i bravi treni. Un bravo treno, se non può avanzare, si ferma. Non va avanti.
Se vuole però può tornare indietro.