La luna e i falò #2 di C. Pavese

Chiara Bisignano

C’è una ragione per cui sono tornato in questo paese. Qui e non

nell’entroterra, dove ho vissuto fino ai miei quindici anni. Sono poche case. E poi il mare. Di questa costa ricordo le dune color oro e le lucertole che sgusciavano tra i sassi e poi scomparivano nella macchia, punteggiata qua e là di bacche, arbusti e fili che la sera si piegavano al vento. Erano chilometri di costa così e ogni volta dovevamo aprirci un varco nel sentiero per arrivare sulla spiaggia. Io la conquistavo guidando quasi di corsa la carovana della mia famiglia che avanzava in un calpestio ovattato con cesti di pane, formaggio, focacce fatte da mia madre.
Sempre, quando arrivava il caldo, alle domeniche ci spostavamo qui.

Anni dopo, ma ancora non tanti che ero in America, ci ho portato Antonia. Era sempre curva a lavorare su orli e rammendi, anche nei giorni di vacanza. Volevo che andasse altrove.

Guardò e poi: «Verremo qui», disse «alla pensione».
Prima che si ammalasse e mi lasciasse l’avevo sperato.

Ora sono arrivato ieri, da solo, e oggi scendo a vedere il mare da vicino. È nascosto però. Tuffo gli occhi negli squarci che si aprono a tratti tra le file fitte di ombrelloni e sdraio e scorgo un ritaglio blu in lontananza. La sabbia è fina, pulita e spianata; non ci sono dune, né vegetazione, eccetto in un piccolo tratto che raggiungo a piedi fiancheggiando i lidi. Non trovo più i ricordi.

Tornando a casa, la stessa strada ma nel verso opposto, un bambino mi tira la camicia.
«Signore, la vuole una fetta di cocomero?».

Guarda verso una signora dai capelli corti e grigi con un costume nero, seduta a un ombrellone. Probabilmente la nonna. Mi faccio trascinare e quella donna, dopo un qualche rimbrotto al bambino, mi offre in uno sguardo di vergogna e dolcezza una fetta rossa e zuccherina che afferro e finisco presto, desiderandone ancora.

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