Chi è quel pazzo che si sposa d’agosto? Perdio! Ci sono centomila gradi Fahrenheit e noi siamo qui ritti con l’abito lungo, il fondotinta che cola, i capelli appiccicati sul cranio che pare c’abbia piovuto sopra. Per gli uomini mi dispiace di più. C’è persino qualche eroe che non s’è tolto la giacca, perché sai, “sta male”. Anche svenire in mezzo al prato “sta male”, penso io, ma mi taccio.
Insomma, aquí estamos, felicemente riuniti per celebrare le nozze di Beatrice e Antonio in questo bel mezzogiorno d’agosto a Palaia. Loro nulla da dire, eh. Due fricchettoni appena usciti dal giardino dell’Eden, i capelli lunghi e pieni di fiori, i piedi scalzi sull’erba. Hanno ventitré anni e son così belli che ti fanno sentire vecchio anche se tu ne hai dodici, per dire.
Comunque siamo qui a discioglierci e l’amico loro che deve celebrare non si presenta. Chiama e dice che ha il virus gastrointestinale (ha persino violato il suo codice etico prendere-medicine-allopatiche-è-peccato-mortale infliggendosi l’Imodium, povera stella, ma nulla). Loro chiaramente non si scompongono, figuriamoci. Peace&love, dicono, celebrerà qualcun altro.
Beatrice-tesorino-caro, le dico con un filo di voce, non so se te l’hanno detto, ma non è che il matrimonio lo può celebrare chiunque, dev’essere uno registrato al comune. Ah, fa lei. Si guarda intorno, smanacca verso il fondo del giardino e un uomo si avvicina con un registro in mano. Scusi, gli dice. Per caso lei deve celebrare le nozze di quelli dopo di noi? Lui annuisce, è quadrato e suda come un kebab. Perfetto, dice lei. Allora celebrerebbe anche le nostre? Il kebab è nel vuoto cosmico. Risponde boh, per me va bene.
Io sgrano gli occhi, provo a intervenire, dico ma tesorino bello, non si può fare così. Non è che uno si inventa le procedure.
Figuriamoci. Nulla. Vuoto cosmico anche qui. La Bea e Antonio si girano verso il pubblico e annunciano che è tutto risolto. Io per altro sono una delle testimoni della sposa insieme a un’altra scappata di casa amica loro che stamattina fuori dal parrucchiere s’è fumata pure l’Amazzonia (e quando le ho detto ti sei fumata pure l’Amazzonia si è messa a piangere per l’Amazzonia).
Beatrice Bertuccelli, legge il tizio, vuoi prendere in sposo Antonio Eleno Nando Da Silva Perez…? Qui s’impantana. Alza lo sguardo verso l’Antonio, si sistema il tricolore. Scusi, gli dice, ma lei lo capisce l’italiano? Il padre di Antonio s’incazza di brutto, urla ma insomma, legga la carta d’identità, por favor, siamo italiani da due generazioni! Il kebab dice scusi, era per sapere, e poi lei ha parlato lo spagnolo.
Io sospiro e attendo e intanto medito una mia uscita di scena melodrammatica in cui mando tutti a fanculo. Poi però capisco che se sono lì è perché siamo tutti disagiati uguale e perché alla fine li amo così, i miei amici, meticci e pasticci, come dice la Bea.
Quando due giorni dopo gli hanno detto che il matrimonio non era valido, i piccioncini erano già partiti per il Nepal.
E vabbe’, hanno detto. Lo rifaremo.
Sì, gli ho detto io al telefono. Bravi. Però fate una cosa. Rifatelo lì, già che ci siete. Sono sicura che lo trovate anche a Kathmandu, un bell’ufficio del comune.
Peace&love.