La Svizzera e Aristotele

Valentina Luporini

Tutti gli svizzeri sono puntuali. Il mio capo è svizzero. Ne segue che, se Aristotele ha ragione, allora il mio capo è puntuale. La conclusione del sillogismo è ulteriormente avvalorata dall’esperienza: sono due anni che lavoro in Svizzera e sono due anni che il mio capo entra a lavoro alle 8 ed esce alle 17. Quando arriva dice «Bonjour» ed io rispondo «Bonjour». Quando va via dice «Bonne soirée» ed io rispondo «Bonne soirée». Il mio capo è timido, e anche io. Infatti, la timidezza non è una peculiarità svizzera, anzi. Comunque lui è molto disponibile e andiamo d’accordo. 

Ma veniamo a noi. Una settimana fa mi staccano internet perché io, non essendo svizzera, ho dimenticato di pagare la bolletta. Stasera, però, ho una riunione online per lo spettacolo teatrale che sto montando nel tempo libero: un uomo e una donna che stanno insieme e si amano, poi non stanno più insieme ma si amano comunque, poi si rimettono insieme ma non si amano più (e tutte le altre combinazioni possibili). Decido allora di collegarmi dall’ufficio dopo il lavoro. Oltretutto internet è molto veloce. Sono le 19.25 e stiamo parlando dell’inizio. Il regista ha un’illuminazione. «Perché non cominciare dalle voci dei due attori fuori campo? Sì, — che idea — la lettera ‘a’. ‘A’ di rabbia, di sorpresa, di frustrazione fino… all’orgasmo. Proprio così, i due finiscono con un orgasmo! Bene, proviamo». «Adesso?» dico io, alludendo alla mia timidezza preventivamente dichiarata. «Adesso», risponde il regista. 

Ed ecco che iniziamo. Stranamente, sembra del tutto naturale. Funziona. Il regista incoraggia le nostre struggenti grida con commenti semitecnici. «Lascia più respiro a lei, ecco, bene. Ora vai tu, esatto». Allora andiamo avanti, ci slanciamo: «A a a aaaa AAA aaaaaAAAAAAA!».

Poi un rumore. O forse un rumore è dir troppo. Uno scricchiolio. Mi volto. «Bb bon, bonne soirée». I suoi occhi sono piantati a terra, come a cercare un’altra frase, una parola cordiale in un universo in cui non ci siamo ancora incontrati. Che faccio? Glielo dico. «No, scusi, si tratta di uno spettacolo teatr…». Ridicolo. Non sa neanche che faccio teatro. «Non è come pens…». Sono così arrogante da non lasciare spazio ad una qualche forma di dubbio? Magari non lo ha mai pensato. Sì, certo. Grosse risate. «Scusi, le spiego un attim…». Troppo tardi. Se ne è andato. 

Inerme, torno allo schermo. Avrei potuto almeno dire «Bonne soirée». Mi sorprendo a pensare una cosa come «magari domani ci parlo», ma ormai sono anch’io sufficientemente svizzera da sapere che c’è un tempo per tutto e che domani sarà troppo tardi. Certo, gli argomenti d’autorità possono essere contestati. E l’esperienza conduce ad errore. Però, cristo di un Aristotele, mannaggia a te. 

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