Sulla trentina può succedere di tutto, persino che si comincino ad apprezzare le feste comandate, perché tra i millemila girotondi della vita finisce sempre che ci si ritrovano gli affetti frastagliati per il mondo. Se sei nato al sud, poi, puoi pure essere emigrato nell’emisfero australe: a Natale non scappi, cascasseilmondo devi tornare. Dopodiché, quando ormai sei tornato, con la puntualità della morte t’arriva in faccia un’altra domanda senza fuga: cosa fai a Capodanno? Anziché generare dermatiti atopiche seguite da ghosting selettivo e risposte degne della Sibilla cumana, tuttavia, capita che tale quesito appaia improvvisamente come un balsamo riparatore delle ferite dell’anima che faranno da companatico delle cene col parentato.
Quell’ottobre la domanda era arrivata con insolito anticipo, dalla Germania. L’amica dottoranda aveva caricato quella data di spropositate aspettative, complici, probabilmente, il freddo tedesco e la lontananza dalla madrepatria. Puntava così tanto su quel momento dell’anno che non aveva solo posto la domanda: aveva persino avanzato la proposta! Il miracolo di Capodanno.
Era tutto deciso, organizzato, ci saremmo uniti a una cena sociale, una cosa bellissima, partecipatissima, collaudatissima, (seguivano altre cose con issima). D’altronde, vale la pena sottolineare che malgrado la fine carriera della suddetta dottoranda, a cose normali non le avremmo affidato neanche un cactus per un paio di giorni, ma stavolta insomma, non doveva manco cucinare lei, perciò occhei.
Ebbene, accettammo tutti. Ci fu chi acquistò biglietti aerei dal Belgio, chi organizzò macchinate che attraversavano l’Italia. Si contarono posti letto, giorni di ferie e giorni mancanti. Un’impresa titanica di ricongiunzione al sud.
A dicembre inoltrato nessun dettaglio era trapelato, non un menù, un orario o un cenno dall’amica. Tuttavia, non c’era di che preoccuparsi. Ai solleciti seguivano grandi rassicurazioni (e alle rassicurazioni non seguivano mai dettagli, ma d’altronde il mondo si divide in chi punta tutto sui dettagli – di solito sono gli ansiosi – e chi dice che non sono importanti. Noi non eravamo persone ansiose).
L’epilogo è scontato, a differenza del conto della pizzeria dove mangiammo (male) quel 31 dicembre. Non c’era nessuna cena sociale, e il fatto che l’amica disgraziata sia ancora viva e abbia fatto carriera significa che interpretammo anche quello come un dettaglio.
Tutto sommato, per uno che non si sofferma sui dettagli fu un bel Capodanno. Strano, ma chissenefrega. Il Capodanno è sempre strano. A sapere che anno ci aspettava, il 2020, lo avremmo definito un Capodanno straordinario.