Ah, com’è bella la droga

Elena Panzera

Ah, com’è bella la droga. L’ho pensato per tutta la notte. L’ho pensato mentre ballavo come il diavolo della Tasmania sotto la cassa, sopra la cassa e negli altri posti dove la capra campa e crepa. Com’è bella la droga, ragionavo succhiando i cristalli di MD che brillavano come Swarovski sulla punta del mio dito indice (fare il paragone con dei diamanti veri e propri mi sembra eccessivo, dal momento che lo spaccino, che su WhatsApp si fa chiamare SUDDENLY, mi aveva venduto un grammo a 30 euro, più un paio di pasticche come premio fedeltà). Com’è bella la droga, e agitavo spalle, braccia, testa, bacino, [ero immortale], sudavo e abbracciavo gente a caso che sudava come me e tutti pensavamo fosse una bella cosa, anche un po’ solenne; una specie di detox dello spirito. Lo spirito della droga.

Com’è bella la… e in discoteca spegnevano la musica e urlavano tutti fuori, ¡Venga!
A quel punto io diventavo istantaneamente uno dei bimbi sperduti di Peter Pan, e infatti pescavo subito tra la folla una Wendy, che in questa speciale occasione aveva le sembianze di una minuta ragazza francese strafatta di chetamina, della quale mi ero prontamente innamorato davanti al cesso degli uomini e che avevo conquistato dando incontrovertibile prova della mia cavalleria, cioè dividendo con lei l’ultima pasticca.

Poco dopo, mentre io e Wendy amoreggiavamo in una delle piazze principali di Barcellona, con la gente normale che mentre andava al lavoro ci urlava giustamente che facevamo schifo, ho scoperto sul suo avambraccio il tatuaggio di una pianta a foglioline piccole, verdi-verdi, che sembrava la chioma di un’africana. Lei ha detto c’est un benjamin. Porte chance. È un beniamino portafortuna. Cristosanto, ho pensato, è veramente sexy, anche così in fin di vita. 

Un attimo dopo, colto da folgorazione peggio di Paolo sulla via di Damasco, mi sono alzato, accorgendomi che in mezzo alla piazza, a pochi passi da noi, ce n’era uno: un vero ficus benjamin, UN BENIAMINO! 

Mi sono commosso, ho detto a Wendy che era un segno. Lei ha sorriso, è stato magico, poi ha detto che le veniva da vomitare e si è addormentata sulla panchina. Nessun problema, no prob. Affatto sconfitto, anzi, certo del miracolo, ho fermato un passante, un signore sulla sessantina con un cappello in testa. Señor, esto es un beniamino. ¿No es increíble? 

Il signore s’è levato il cappello, ha guardato la pianta e poi me. Ma tu si scimunito, o che? È un ulivo! [era italiano, n.d.r.]. Ho provato umilmente a contraddirlo, gli ho mostrato persino il tatuaggio di Wendy addormentata, ma quello s’è incazzato di brutto. Prima ha suggerito, piuttosto sbrigativamente, di chiamare un’ambulanza per la ragazza; quindi, venendo alle cose serie, ha detto che se non la smettevo di dire che quello era un albero di beniamino avrebbe chiamato il suo amico agronomo che abitava lì vicino, così me l’avrebbe spiegata lui, la differenza tra un ulivo e un beniamino. 

Mi è servito un attimo per realizzare che questo messere, che alle 7 di mattina voleva svegliare il suo amico agronomo per darmi una lezione di vita, con ogni probabilità, a differenza mia, non era fatto di MD. Era 100% natural, organic, gluten-free. Perciò insomma l’ho ringraziato, gli ho detto che non serviva. 

Infine ho guardato Wendy, la mia bella Wendy e il suo braccio cosparso di foglie. Ho pensato che per forza la vita ti va di merda, se pensi di esserti tatuata un beniamino portafortuna e invece è un ulivo. 

Ah, com’è bella la droga.

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